ABSTRACT
Il libro - edito nell’ambito della Collana di Studi di Diritto del lavoro diretta da Luisa Galantino e Salvatore Hernandez – si pone come macro-obiettivo l’analisi di quel lento, ma significativo, processo di evoluzione interpretativa che interessa l’istituto del trasferimento disciplinare.
In questa prospettiva, i capitoli iniziali sono dedicati all’esame del contesto sistematico generale in cui si colloca l’istituto e del quadro legale specifico di riferimento.
In particolare, nel primo capitolo, si osserva come la mutazione genetica in misura potenzialmente punitiva di un provvedimento di natura oggettiva quale il trasferimento, sia resa possibile dalla caratteristica di tendenziale afflittività della vicenda "trasferimento". Tratto distintivo, quest’ultimo, non a caso costituente uno degli ingredienti principi della pena privata.
Per questa via, del resto, emerge l’anomalia funzionale di uno strumento tipico del potere direttivo-organizzativo, che sia utilizzato per finalità punitive. Di tale apparente contraddizione, per altro, si propone un ridimensionamento, attraverso il richiamo all’ormai sedimentata lettura dottrinale di segno unificante dei poteri direttivo e disciplinare.
Nel secondo capitolo, si ripercorre il cammino esegetico che la dottrina e la giurisprudenza hanno compiuto, nel corso degli anni, in riferimento agli articoli 13 e 7, comma 4, dello Statuto dei lavoratori. Ciò al fine precipuo di valutare se, in primo luogo, il legislatore – subordinando la legittimità del trasferimento alla sussistenza di ragioni oggettive di impresa - abbia inteso escludere, a contrario, che il trasferimento possa essere sorretto da motivazioni di ordine soggettivo; e, in secondo luogo, se nel concetto di "mutamento definitivo" sia ricomprensibile pure il trasferimento.
Il terzo capitolo, invece, è dedicato alla verifica di una possibile compatibilità logico-dogmatica del trasferimento disciplinare con il sistema delle fonti legali regolanti il rapporto di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni. Ed, in particolare, viene affrontata la questione della vincolatività, nell’ambito del settore pubblico, dei principi sanciti dagli artt. 13 e 7, comma 4 dello Statuto.
In questa sede, inoltre, vengono esaminate, in una prospettiva storico-critica, le vicende applicative dell’istituto tipicamente giuspubblicistico del trasferimento per incompatibilità ambientale. Tale istituto, infatti – che, peraltro, è stato espressamente abrogato dal decreto n. 80 del 1998 - presenta evidenti intersecazioni con il trasferimento disciplinare. E ciò, sia per la circostanza fattuale della frequente utilizzazione distorta - vale a dire in chiave disciplinare, anziché oggettiva - del trasferimento per incompatibilità ambientale; sia per il fatto che – come si espone nel successivo capitolo V – le punte più avanzate della giurisprudenza di legittimità sono pervenute a riconoscere la legittimità del trasferimento disciplinare attraverso un progressivo iter interpretativo, costituito da una pluralità di tappe intermedie, una delle quali è stata quella dell’affermazione della legittimità del trasferimento per incompatibilità ambientale, anche nell’ambito del rapporto di lavoro privato.
Il quarto capitolo è dedicato all’esame delle caratteristiche tipologiche del trasferimento disciplinare, così come esso è stato tipizzato – invero, non di frequente – nelle esperienze contrattuali successive allo Statuto dei lavoratori. Ed, in particolare, ci si sofferma sull’operatività del principio di tipicità contrattuale e sull’eventuale possibilità datoriale di prescindere da esso (ciò sia in campo privatistico, che pubblicistico), nonché sulla vincolatività del principio di proporzionalità tra mancanza commessa e correlativa sanzione e ciò con specifico riferimento a quelle fattispecie prevedenti il trasferimento disciplinare come alternativa al licenziamento.
Nel quinto capitolo si percorre, in chiave ricostruttiva, il cammino evolutivo della giurisprudenza. In particolare, sotto un profilo diacronico, vengono distinte tre differenti fasi interpretative. La prima fase, predominata dall’orientamento della giurisprudenza di merito, attestatasi nel senso della assoluta illegittimità del trasferimento disciplinare. La seconda fase, in cui comincia ad insinuarsi anche nel rapporto di lavoro privato il concetto di incompatibilità ambientale: fase in cui la giurisprudenza di legittimità inizia a discostarsi dalla giurisprudenza di merito. Ed, infine, la terza fase, in cui si delineano: un primo orientamento, improntato al tentativo di trovare un fondamento oggettivo alle ragioni soggettive che potrebbero essere sottese al trasferimento; e un secondo orientamento – quello evidentemente più maturo – che perviene al pieno riconoscimento della legittimità del trasferimento disciplinare.
Il sesto capitolo è dedicato all’analisi del panorama dottrinale. In tale sede, una volta esaminate le varie posizioni interpretative che si sono via via consolidate, si verifica la possibilità di giungere ad ammettere il ricorso al trasferimento disciplinare. In particolare, in questa prospettiva, il tessuto argomentativo potrebbe comporsi di una quadruplice trama. In primo luogo, nei casi in cui il trasferimento è previsto in alternativa al licenziamento, è invocabile il principio del favor, pur nella piena consapevolezza della cautela necessaria per una simile operazione interpretativa. In secondo luogo, l’efficacia restrittiva delle interpretazioni più rigorose dell’art. 13 dello Statuto potrebbe essere ridimensionata, alla luce della inderogabilità, nella fase genetica, della norma giuslavoristica, ma della disponibilità del diritto acquisito, nella fase funzionale. In terzo luogo, poi, in materia è evocabile l’istituto del recesso modificativo. In quarto luogo – evidentemente - non può non tenersi conto di quanto sia mutato il contesto socio-giuridico attuale rispetto a quello in cui sono state formulate le due norme (l’art. 13 e l’art. 7, comma 4 dello Statuto) che, per molti, ancora oggi, rappresentano la motivazione di fondo impeditiva dell’ammissibilità del trasferimento disciplinare.
In questo scenario interpretativo, resta inteso, peraltro, che l’eventuale ricorso al trasferimento disciplinare sarebbe subordinato al rispetto di precisi requisiti, quali: la previsione del trasferimento in funzione alternativa al licenziamento; l’assoluto rispetto delle guarentigie sancite dall’art. 7 dello Statuto; il divieto di adibire il lavoratore trasferito a mansioni inferiori; il divieto di esercitare il potere disciplinare per finalità discriminatorie.
Infine, il capitolo si chiude con l’esame di alcune questioni particolari, riguardanti: l’ammissibilità del trasferimento disciplinare del dirigente di rappresentanza sindacale aziendale; la compatibilità dell’istituto de quo con il fenomeno dei gruppi di società e, per connessione sistematica, l’eventuale configurabilità del comando disciplinare ovvero della trasferta disciplinare; la situazione del dirigente d’azienda; le conseguenze del trasferimento disciplinare illegittimo.