LETTERA APERTA AL MINISTRO SULLO STATO DELLA GIUSTIZIA DEL LAVORO
già pubblicata sulla rivista Lavoro e informazione n. 15-16, 1999
Roma, 28 luglio 1999
Al Ministro di Grazia e Giustizia
on. Oliviero Diliberto
Caro Ministro,
riteniamo opportuno sottoporre alla Sua attenzione alcune considerazioni e proposte, suggerite dalle prime esperienze seguite all'entrata in vigore, almeno per la giustizia civile e del lavoro, dell'attesa riforma del giudice unico di tribunale, di cui comunque teniamo a ribadire il carattere sicuramente positivo.
I. A) Segnaliamo in primo luogo l'estremo ritardo e l'improvvisazione con cui, in generale, gli uffici giudiziari sul territorio hanno affrontato la riforma.
In molti uffici sembra che essa sia giunta inaspettata, tanto che solo a partire dal 2 giugno 1999 i presidenti dei Tribunali hanno cominciato a ridefinire tabelle e ruoli del personale giudicante, con la conseguenza che, purtroppo, sembra accompagnare ogni tentativo di riforma: un rinvio generalizzato delle udienze di otto o dieci mesi, se non di più.
Il problema si è rivelato particolarmente acuto proprio nel settore della giustizia dei lavoro, dove l'abolizione delle preture mandamentalí e la concentrazione dei magistrati presso i tribunali ha dato luogo sulla carta a un aumento del personale giudicante, ma contemporaneamente a una redistribuzione dei ruoli estremamente confusa e che si è risolta, come detto, in lunghe dilazioni dei processi.
B) Valutando, però, i profili generali della riforma, emerge, per quanto
attiene alla giustizia ordinaria, l'eccessiva timidezza del Processo di accorpamento degli uffici giudiziari.
Perché, se è pur vero che le sedi distaccate dei tribunali sono in numero inferiore (non di molto) alla vecchie Preture, si è evidenziato, per altro verso, un pericolo di dispersione dei personale giudicante tra le varie sedi, dovendosi assicurare, in prospettiva, la presenza, quanto meno periodica, di un giudice civile e di un giudice penale nelle diverse sezioni.
Di contro, ristagna la riforma delle circoscrizioni giudiziarie, quanto meno nelle aree metropolitane.
C) La migliore utilizzazione delle risorse costituisce ancora un problema di attualita' e ad esso è strettamente connesso quello del nuovo utilizzo dei magistrati onorari, che costituisce da sempre un capitolo ambiguo. Invero, l'utilizzo della magistratura onoraria fino ad ora è stato tanto ampio quanto poco controllato, difforme nell'efficacia e minato all'origine da una anacronistica simbolicità dei compensi. Riteniamo che la figura del giudice di Pace vada pienamente affermata e ne vengano estese le competenze.
D) Occorre prendere atto del generale giudizio negativo sulla riforma del rito civile, che non si è sufficientemente distanziato dal vecchio rito, peggiorandone in parte la farragginosità con formalismi che solo sulla carta svolgono una funzione di semplificazione e trasparenza di giudizio. In sostanza, sembra giunto il momento di superare il processo per citazione per arrivare ad una procedura improntata a snellezza e oralità, con decadenze iniziali e non mediane (processo introitato per ricorso).
E) D'altra parte, appare urgente la revisione dei processo dì esecuzione (altro punto debole dei processo civile), sia di tipo espropriativo che di esecuzione degli obblighi di fare, preceduto da una maggiore accessibilità alle misure cautelari, controbilanciata da una responsabilizzazione vera delle istanze in caso di infondatezza della pretesa.
F) Assolutamente necessaria è poi, a nostro giudizio, l'introduzione di controlli effettivi sulla produttività dei magistrati e anche sulla loro capacità di dare ordinato sviluppo al lavoro giudiziario, a cominciare da un numero minimo fisso di udienze settimanali e al divieto, disciplinarmente sanzionato, di tenere udienze con modalità irrituali (es. udienze in contemporanea, in cui il contraddittorio processuale e addirittura l'assunzione di prove si svolgono solo tra avvocati che poi sottopongono al giudice il verbale relativo).
2. Per quel che attiene specificamente al processo del lavoro e previdenziale, va sottolineato che la riforma inciderà molto più in profondità, rispetto all'ordinario processo civile, perché l'attribuzione dei giudizi di secondo grado alle sezioni dì Corte d'appello darà luogo a un vero, ma non negativo, sconvolgimento dell'assetto territoriale della giustizia del lavoro.
2. 1. Proprio per questo, onorevole Ministro, ci permetta di formulare una seria critica per il fatto che, alla data di entrata in vigore della riforma, non sono neanche stati pubblicati i posti da mettere a concorso per la costituzione delle Sezioni stesse, e tale omissione è stata giustificata con l'argomento che solo gli appelli per sentenze decise dopo il 2 giugno saranno destinati ad essere esaminati dalle sezioni, le quali, quindi, potrebbero essere costituite anche, in tempi medio lunghi e con organici all'inizio ridotti. Ciò significa però che le Corti d'appello cominceranno a funzionare con un pesante arretrato di ricorsi, presentati e lasciati in giacenza durante il periodo della costituzione.
Nel frattempo una situazione caotica minaccia l'operatività dei Tribunali, funzionalmente distinti al loro interno tra primo e secondo grado, con ricorrenti situazioni di incompatibilità incrociate tra giudici e senza che operi, per i vecchi appelli, qualcosa di somigliante alle sezioni stralcio.
Le priorità assolute sono dunque quelle di eliminare, prima possibile, questa situazione di doppio ristagno; a nostro parere la scelta più lineare resta quella di dare alle sezioni d'appello una tempestiva e nutrita composizione e possibilmente di spostare presso di esse lo stralcio dei vecchi appelli.
2.2 Più in generale il nostro allarme nasce dalla constatazione che il G.U. - che abbiamo sostenuto come sviluppo della monocraticità, anticipata dal processo del lavoro lungi dall'essere un momento che avrebbe dovuto liberare risorse di cui avrebbe dovuto beneficiare questo contenzioso rischia di trasformarsi nell'esatto opposto.
Paradossalmente, allo stato, anziché promuovere com'era nelle attese e nel fini del legislatore, un rilancio della legge 53ì/73, il lavoro rischia di divenire l'unico contenzioso penalizzato. Infatti negli strumenti di accompagnamento non una misura di sostegno è prevista. Si deve rilevare, al contrario, una disparità di previsione lesiva della tutela giudiziaria dei diritti dei lavoratori. Malgrado il dato obiettivo attuale, che registra la sostanziale equivalenza tra le pendenze e l'arretrato del contenzioso civile e del lavoro e l'equivalenza della durata media dei processi, si è operata una discriminazione nelle misure di sostegno. Infatti per il civile si sono previste: a) con l'istituzione del giudice di pace una sottrazione consistente del contenzioso; b) con l'introduzione del G.U. si attribuiranno al giudice di pace le cause pendenti in Pretura al 1995; c) il civile si giova già dell'istituzione delle sezioni stralcio e dei G.o.a. (per esempio a Roma, ove sono 103, si è avuto un sensibile alleggerimento del carico, si calcola che 65.000 cause sono state assegnate ai giudici aggregati e 23.000 distribuite tra i magistrati delle sezioni ordinarie; con il risultato di 500 cause per ogni magistrato ordinario, contro le 1.736 dei Pretori del lavoro).
Del pari, e giustamente, per il penale si è prevista (con provvedimento ancora in itinere): l'attribuzione al giudice di pace dei reati minori; la depenalizzazione di una serie di reati, con il risultato di una deflazione sensibile del carico.
Di contro, dal 3 giugno '98 al giudice del lavoro si attribuisce la rilevantissima competenza delle controversie della P.A.: il C.s.m., e per esso la Commissione riforma, prevede un aumento del carico di 150.000 controversie (presso il T.ax. Lazio pende 1/4 del carico nazionale).
In conclusione l'unico settore a carico aumentato, nel corso degli anni. è quello dei lavoro e per esso nessun sostegno è stato previsto dal Governo. Il che non è accaduto certo per oscura volontà politica ma è frutto dell'illusoria ed astratta previsione dell'effetto deflattivo del tentativo obbligatorio di conciliazione e della procedura arbitrale; effetto che non si è realizzato per lo stato di dissesto catastrofico degli Uffici provinciali del lavoro e per l'inadeguatezza dello stato delle Commissioni di conciliazione.
Riteniamo opportune, di conseguenza, sul piano amministrativo, processuale e ordinamentale almeno le seguenti misure:
1) passare dalla previsione politica all'apprestamento delle misure legislative, tecniche e finanziarie a partire dal prossimo Dpef, per la realizzazione, con nuove forme di reclutamento, dell'incremento di 1.000 giudici in organico. Verrebbe in tal modo raccolta la richiesta del C.s.m., che nella risoluzione del 19/6/1997 ha proposto per il contenzioso dei lavoro un aumento dell'organico complessivo, per i soli effetti del passaggio al giudice del lavoro (oggi giudice monocratico dei Tribunale), delle controversie del pubblico impiego, di 400 magistrati (da destinare alle grandi aree metropolitane e di maggior sofferenza);
2) utilizzare quelle unità di magistrati che già si vanno liberando, per gli effetti della competenza dei giudici di pace e della istituzione dei G.o.a., ecc, attribuendoli alle sezioni lavoro dei Tribunali e Corti d'appello;
3) istituire dei G.o.a. per le sezioni stralcio lavoro nei grandi Tribunali per l'arretrato, reclutando giudici tra gli avvocati con esperienze lavoristiche;
4) modificare la normativa della competenza territoriale, radicandola nel luogo di lavoro, come previsto. per il pubblico impiego nel decreto n.80 del 31/3/98.
2.3. Occorre procedere ad una revisione del processo previdenziale, per il quale sembra possibile distinguere la vertenzialità secondo che riguardi le questioni di diritto da quelle medico legali. Per questa ultima area, non è illogico pensare a sedi di giurisdizione particolari da aggregare, forse, agli uffici del giudice di pace, eventualmente a latere del giudice togato.
3. Quanto ai circuiti alternativi, è noto che le organizzazioni sindacali hanno dato il loro assenso alla riforma legislativa della conciliazione e dell'arbitrato.
Si osserva però che il decreto legislativo n. 38711998 ha segnato passi indietro, perché ha reso la fase conciliativa molto vincolante per il lavoratore, senza assicurare l'instaurazione di un effettivo dibattito con il datore di lavoro.
Si è anche persa l'occasione per escludere dalla necessità dei tentativi di conciliazione le procedure di ingiunzione, basate su prova scritta del credito, ovvero le procedure concorsuali: in tal caso, infatti il credito è certo. e non viene soddisfatto dai debitori.
Per altro verso, il decreto 387/1998 ha privato l'istituto arbitrale di ogni garanzia, conficurando il lodo arbitrale come decisione non attaccabile, nonostante violazioni anche gravissime di norme legali e contrattuali.
Noi riteniamo che sia un errore cercare di configurare la giustizia arbitrale come una sorta di giustizia sommaria, che, per ciò stesso, i lavoratori, ma anche i datori di lavoro, cercheranno di evitare, trattandosi pur sempre di una libera scelta.
Ci permettiamo, dunque, di chiedere che venga approfondita la riflessione sui due istituti della conciliazione e dell'arbitrato, che sono oggetto di contrattazione tra le parti sociali, tuttavia profondamente influenzata, ora purtroppo in senso negativo, dalla cornice legale.
Al fine di conferire maggiore efficacia sul piano sostanziale ai percorsi di riforma che abbiamo enunciato, ci sembra opportuno che essi siano accompagnati dalla previsione di risorse finanziarie pubbliche, da destinare in particolare alla formazione e/o riqualificazione dei componenti i collegi arbitrali, con modalità da concordarsi con le organizzazioni sindacali.
La ringraziamo della Sua attenzione e La salutiamo cordialmente.
Piergiovanni Alleva
Amos Andreoni
Gianni Arrigo
Giovanni Naccari
Carmine Russo