Codice deontologico per la carriera accademica in diritto del lavoro

In discussione fra i professori di I e di II fascia, venerdi' 30 aprile a Firenze presso l'Aula Magna della Facoltà di Giurisprudenza e Scienze Politiche

Marzo 1999 - Testo

  1. Per quanto grande sia la consapevolezza dello stato di "crisi" dell'intero sistema universitario per una serie concorrente e cumulata di ragioni ben note agli addetti al mestiere, carenze di risorse e di strutture, obsolescenze degli ordinamenti, congiunturalità delle riforme, oscillazioni continue fra rigurgiti neocentralisti e conati autonomistici, degenerazioni burocratiche, incrostazioni assistenzialistiche parassitarie, prassi vetero-corporative, ecc.; per quanto grande sia rimane pur sempre che tale sistema è una delle scommesse fondamentali di crescita del nostro Paese e di appartenenza a pieno titolo all'Europa in fìeri, nonché - ragione forse meno nobile ma non meno rilevante - di giustificazione e gratificazione della nostra esperienza di vita umana e professionale. La via da seguire è già stata delineata, anche se perseguita in maniera non sempre continua e coerente: maggiore autonomia al sistema nel suo complesso e alle singole sedi, in cambio di una crescente autosufficienza economica e responsabilizzazione, destinata, a trovare la sua sanzione ultima in un mercato sempre più aperto e sempre più rilevante, all'insegna di una effettiva competizione in termini di resa scientifica e didattica. In questa prospettiva deve essere valutata anche la recente normativa di riforma del reclutamento dei ricercatori e dei professori universitari di ruolo di cui alla legge 3 luglio 1998, n. 210 e dal d.p.r. 19 ottobre 1998, n. 380. Proprio in base al binomio maggiore autonomia/crescente responsabilizzazione le singole sedi si vengono restituita una maggiore libertà di scelta sia per quanto riguarda la composizione delle commissioni sia la integrazione dei criteri di valutazione, sia la conformizzazione ai risultati concorsuali. Se questo è vero, è vero però anche che è pur sempre la corporazione nazionale dei professori di ruolo e dei ricercatori, con diverso titolo e peso a seconda dello status, a doversi far carico collettivamente della gestione del processo che è, e non potrebbe essere diversamente, ancora oggi un processo di autoselezione. Senza soffermarci a considerare la passata esperienza che tuttavia è stata madre o matrigna di tutti coloro che oggi sono ex lege membri nobili della corporazione e grandi elettori e potenziali eletti del processo di autoselezione, la responsabilità collettiva è al tempo stesso resa più elevata e più difficile dalla dilatazione del numero dei professori e dei ricercatori, dalla moltiplicazione dei centri di riferimento, dalla manipolazione e dall'usura dei criteri tradizionali, dalla stessa riforma del meccanismo concorsuale.
    Non si tratta di creare una sorta di supergoverno del processo di autoselezione, che sarebbe al tempo stesso inopportuno e impraticabile: inopportuno perché il giudizio non può che rimanere affidato alle singole commissioni che di volta in volta ne siano investite, salvaguardandone l'autonomia e la responsabilità; impraticabile perché l'ampliamento e l'auspicabile radicamento territoriale, ma non localistico degli addetti non lo permette oggi e tantomeno lo permetterebbe in futuro. Si tratta, invece, di garantire a questo processo il massimo possibile di trasparenza, di oggettività, di standardizzazione dei criteri, di comparabilità dei risultati. Cosa questa tanto più importante nella prospettiva di due sessioni concorsuali all'anno con più commissioni al lavoro, commissioni che in ragione delle previste terne o bine opereranno selezioni aventi ricadute non solo sulla sede interessata ma anche su altre, e intenzionate ad avvalersi di tali terne.
    Tutto questo richiede un minimo di organizzazione, sicché si potrebbe anche pensare a una associazione o club che dir si voglia, aperto a tutti i professori (deve essere considerato anche il problema dei ricercatori), con adesione ovviamente volontaria accompagnata da un contributo per sostenere le spese relative. Non si vuoi qui ipotizzare una qual sorta di clonazione dell'AIDLASS: certo l'AIDLASS non è la sede idonea, per la sua struttura, composizione e scopi statutari; ma, soprattutto il club o l'associazione dovrebbe avere una struttura leggera se non leggerissima, funzionale a un'attività squisitamente di supporto e coordinamento.
    Non sembri strano che nella età dell'informatica omnipervasiva e pervadente la prima idea sia quella di sfruttarla proprio in vista della trasparenza, per la assoluta facilità di accesso, "attiva" e "passiva". Non è importante la via prescelta, quella di un sito ad hoc intestato al club o all'associazione eventualmente costituiti, oppure di "sottositi" inseriti in altri siti già esistenti (dell'AIDLASS, dei siti lavoristici di Catania e di Bologna, ecc.); è importante che in voci distinte e specifiche sia possibile dar notizia dei convegni e seminari in programma, dei libri e dei saggi in stesura, degli indici dei numeri successivi delle riviste, delle pubblicazioni, dei concorsi banditi, dei bandi di concorso, dei criteri individuati dalle commissioni, dei risultati, delle motivazioni, ecc., nonché delle "recensioni".
    A quest'ultimo proposito è quasi inutile sottolineare la caduta in desuetudine di questo genere importantissimo per il processo di autoselezione, cioè appunto le "recensioni". Non è possibile rivitalizzarlo secondo il modulo collaudato, fermo restando che chi vuole può ovviamente continuare a praticarlo, ma è possibile rinnovarlo profondamente permettendo a tutti, professori e ricercatori che siano, di accedere alla voce "recensioni" per esprimere un loro breve e motivato giudizio su una monografia o su un saggio, firmandolo e così assumendone tutta la responsabilità, fermo restando che poi il tutto assumerebbe rilievo in base alla credibilità soggettiva dell'autore e oggettiva del giudizio goduta agli occhi della stessa corporazione.
    Un passo successivo ma tanto opportuno da riuscire quasi necessario è quello di organizzare un seminario annuale sullo "stato della materia", con riguardo sia al coordinamento scientifico, sia al collocamento istituzionale dell'insegnamento nei piani di studio, sia alle prospettive concorsuali, sia ai criteri di rilevazione dell'attività didattica e scientifica, sia alla pubblicistica dell'anno pregresso con in particolare riguardo alle opere "prime" o "seconde". Naturalmente questo è solo un elenco dei potenziali argomenti, da trattarsi di volta in volta secondo un'agenda certo più selettiva e gestibile.
  2. Assumendo a referente il d.p.r 19 ottobre 1998, n. 190, c'è anzitutto da sottolineare quanto disposto all'articolo 2 comma 2 e 5. In forza del primo i candidati ai concorsi non hanno limiti riconducibili alla cittadinanza e al titolo di studio, il che equivale ad aprire al mondo intero l'universo degli aspiranti, fermo restando che la lingua utilizzata debba essere quella italiana almeno per le prove (e per le pubblicazioni?); in forza del secondo, il decreto rettorale di indizione deve indicare "la tipologia e l'impegno scientifico e didattico richiesto" e può prevedere "la determinazione di un numero massimo di pubblicazioni scientifiche da presentare a scelta del candidato..., in modo, comunque, da garantire un'adeguata valutazione dei candidati".
    A quest'ultimo proposito può esservi il rischio che l'espressione "la tipologia e l'impegno scientifico e didattico richiesto" possa essere utilizzata per "personalizzare" il concorso a misura di un certo candidato; rischio che deve essere contenuto tenendo conto che il referente principale è destinato a rimanere quello costituito dalla denominazione ufficiale della materia messa a concorso e dalla normalità della prestazione scientifica e didattica richiedibile secondo gli standards nazionali e locali effettivamente praticati; e che ogni variante riducente l'area potenziale di selezione abbia una precisa ragione debitamente motivabile. Quanto, poi, a "la determinazione di un numero massimo di pubblicazioni scientifiche" vien da osservare come il rischio di sommergere la commissione con una produzione cartacea ingestibile, sia di gran lunga minore che in passato data la più che probabile forte diminuzione dei candidati presentantisi ad un singolo concorso; ciò non esclude che la misura possa rivelarsi opportuna ma allora bisognerebbe utilizzarla con l'avvertenza di graduarla a seconda della tipologia concorsuale (I fascia, II fascia, ricercatore) e di genere (monografie, articoli, note a sentenza, ecc.).
    Il problema maggiore non è dato però dalla quantità "massima" di pubblicazioni scientifiche, ma dalla quantità "minima" richiesta per essere credibili candidati alla vittoria concorsuale. Da questo punto di vista pare opportuno confermare "soglie d'accesso" consolidate dalla prassi, cioè una monografia per il concorso di seconda fascia e due monografie per il concorso di prima fascia, intendendosi per tali quelle che abbiano non solo il "corpo" ma anche "l'anima" di opere monografiche, cioè costruite a "tesi".
  3. I punti più importanti del citato articolo 2 sono però costituiti dai commi 6 e seguenti, attinenti allo svolgimento dei concorsi. Ai sensi del primo di essi comma 6 "le commissioni giudicatrici per procedere alla valutazione comparativa dei candidati predeterminano i criteri di massima" che devono essere debitamente pubblicizzati tramite la neoistituita figura del "responsabile del procedimento". I successivi commi 7, 8, 9, forniscono i referenti legali che devono essere tenuti presenti dalle commissioni, referenti che vengono qui di seguito ripresi in vista dell'elaborazione di un "codice di comportamento" che naturalmente non può essere vincolante, ma almeno spera di divenire autorevole in forza del suo contenuto e del consenso guadagnato presso i membri della corporazione.
    Partendo dal comma 7 che si apre con una espressione a carattere generale, "per valutare il curriculum complessivo del candidato e le pubblicazioni scientifiche" ma che in realtà riguarda specificatamente queste ultime, articolando in maniera dettagliata e largamente condivisibile i criteri da utilizzare, fermo restando la possibilità di una modifica e integrazione, per via dei regolamenti universitari, da predisporsi da parte delle singole sedi.
    Senza voler quantificare in una determinata percentuale la parte giocata nelle valutazioni complessive dalle pubblicazioni scientifiche valutabili secondo i criteri che ci accingiamo a vedere, certo dovrebbe rimanere inalterata la sua prevalente rilevanza, per una duplice concorrente ragione: a tutt'oggi l'Università si ispira ad una connessione inscindibile tra ricerca e didattica per cui la prima dovrebbe alimentare la seconda; e proprio la materia delle pubblicazioni scientifiche è in grado di assicurare maggior trasparenza, oggettività, standardizzazione dei criteri, comparabilità dei risultati.
    Originalità e innovatività della produzione scientifica e rigore metodologico.
    È il criterio principe tradizionale debitamente arricchito che di per sé si presta a valutazioni discrezionali abbastanza ampie, sì da essere quello che richiede più di ogni altro di essere specificato e dettagliato a cura delle commissioni.
    In linea di massima il criterio de "l'originalità e innovatività" si muove all'interno di una fascia delimitabile, in senso negativo, in base alla natura meramente ricostruttiva, compilativa o espositiva, casistico-pratica; e, in senso positivo, in ragione della novità dei punti di vista prescelti e delle tesi prospettate rispetto allo stato dell'arte, esistente al momento della pubblicazione, nonché della ricaduta eventuale sull'evoluzione dottrinale e giurisprudenziale successiva. A sua volta il criterio de "il rigore metodologico" implica l'dentificabilità del metodo scelto, valutabile in base alla serietà, completezza e coerenza dell'impianto, della congruità e sufficienza dell'argomentazione, della completezza e precisione dell'apparato delle fonti e delle citazioni.
    Apporto individuale del candidato, analiticamente determinato nei lavori di collaborazione.
    È un criterio collaudato, che, però, richiede d'essere messo appunto con una precisazione importante: nei lavori di collaborazione l'apporto individuale deve essere non solo identificabile, ma tale da potere essere oggetto di una autonoma valutazione in forza dei criteri generalmente adottati.
    Congruenza dell'attività del candidato con le discipline ricomprese nel settore scientifico-disciplinare per il quale è bandita la procedura ovvero con tematiche interdisciplinari che la comprendano.
    Anche questo è un criterio tradizionale ben comprensibile che peraltro serve a confermare quanto già detto sopra e cioè che l'indicazione de "la tipologia di impegno scientifico e didattico richiesto" da farsi nel decreto rettorale di indizione del concorso ai sensi dell'art. 2 comma 5, può qualificare ma non restringere il giudizio di congruenza destinato a rimanere aperto a tutte le pubblicazioni ricadenti all'interno della materia di cui alla denominazione del bando. All'interno di questo criterio può essere ricondotto il criterio consolidato di avere pubblicazioni scientifiche tali da dare prova di varietà e pluralità di interessi.
    Rilevanza scientifica della collocazione editoriale delle pubblicazioni e loro diffusione all'interno della comunità scientifica.
    É questo un criterio innovativo almeno rispetto alla storia e alla tradizione della nostra materia, tale da meritare una grande attenzione e considerazione.
    Per quanto riguarda il criterio della "rilevanza scientifica della collocazione editoriale delle pubblicazioni", questo richiede una valutazione e graduazione delle "sedi", cioè delle collane in cui le monografie sono edite, delle direzioni o curatele delle opere collettanee e delle riviste in cui i contributi, saggi e articoli sono pubblicati, delle case editrici. In particolare per le riviste sarebbe possibile pensare a una loro graduazione in relazione a parametri riconosciuti a livello interno ed internazionale, quali ad esempio la regolarità dei numeri, l'esistenza di comitati di lettura stabili o ad hoc, la partecipazione al dibattito scientifico in base alla ricaduta dottrinale e giurisprudenziale dei contributi in esse pubblicati (a tal scopo è ipotizzabile una rilevazione delle citazioni di tali contributi ospitate in altre pubblicazioni scientifiche, da aggiornare a debite scadenze temporali). E in tal modo si passa all'altro criterio della "diffusione" che evidentemente sconta qualcosa di già esistente ma sistematicamente aggirato: cioè la preventiva pubblicazione e circolazione delle pubblicazioni presentate al concorso sì da permetterne almeno la conoscenza da parte di tutti gli studiosi. Se una volta l'aggiramento era comprensibile se non giustificabile data la estrema rarefazione e casualità delle cadenze concorsuali, oggi non più, per la prevista convocazione delle necessarie consultazioni elettorali due volte all'anno, come sempre passando da un estremo all'altro sì da creare una sorta di "concorsualità permanente".
    Come si vede non basta la pubblicazione intesa in senso formale del deposito delle copie previste alle sedi competenti, ma occorre l'effettiva diffusione, cosa questa che ovviamente sconta un qualche margine di anticipazione rispetto alle scadenze concorsuali e di circolazione effettiva quale deducibile dalle copie vendute, dalle recensioni effettuate (anche tramite la rete informatica di cui sopra), dalle citazioni fattene, dalle influenze giurisprudenziali rintracciabili.
    Continuità temporale della produzione scientifica, anche in relazione alla evoluzione delle conoscenze nello specifico settore scientifico-disciplinare.
    Questo è un altro criterio già noto ma non sempre valorizzato debitamente, che tende inevitabilmente a penalizzare quegli studiosi più anziani, che per essere stati o per essersi creduti tagliati fuori dal circuito selettivo, non hanno più ripreso la loro iniziale attività scientifica o l'hanno fatto con grandi e ripetuti vuoti temporali. La continuità temporale deve essere effettiva, con cadenze tendenzialmente annuali, sia pur di vario genere; e deve essere sincronica rispetto all'evoluzione legislativa, giurisprudenziale e dottrinale, cioè con contributi aggiornati allo stato dell'arte esistente al momento della loro stesura e della loro pubblicazione, a scanso di qualsiasi rapido riciclaggio di manoscritti rimasti più o meno intoccati nei cassetti per lungo tempo.
    Dopo questo elenco contenuto nel comma 7 dell'art. 2, il comma 8 sancisce che "per i fini di cui al comma 7 si fa anche ricorso, ove possibile, a parametri riconosciuti in ambito scientifico internazionale", con una apertura indubbiamente di maggiore importanza per il settore scientifico in senso stretto che per quello umanistico, ma che, comunque, deve essere tenuta presente, in vista non tanto di nuovi criteri, quanto di una specificazione operativa dei criteri già considerati.
  4. Dopo l'elenco contenuto nel comma 7 dell'art. 2, c'è un ulteriore elenco nel comma 9, aperto dalla frase "costituiscono, in ogni caso, titoli da valutare specificamente nelle valutazioni comparative", che, peraltro, si differenzia dal primo sotto un preciso aspetto. Non si tratta di un elenco di cimiteri, ma di attività che devono essere "comunque" tenute presenti, anche se la frase introduttiva dell'elenco ("per valutare il curriculum complessivo del candidato e le pubblicazioni scientifiche") lascia intendere che detti criteri, costruiti a misura dell'attività scientifica tipica quale tradotta in pubblicazioni possono e debbano essere utilizzati, con i possibili adattamenti, per valutare anche le attività di cui al successivo elenco del comma 9, in quanto ricomprese nel curriculum complessivo del candidato.
    a)
    L'attività didattica svolta.
    b)
    I servizi prestati negli atenei e negli enti di ricerca, italiani e stranieri.
    c)
    L'attività di ricerca, comunque svolta, presso soggetti pubblici e privati, italiani e stranieri.
    d)
    I titoli di dottore di ricerca e la fruizione di borse di studio finalizzate ad attività di ricerca.
    e)
    L'attività in campo clinico relativamente ai settori scientifico-disciplinari in cui sia richiesta tale specifica competenza.
    f)
    L'organizzazione, direzione e coordinamento di gruppi di ricerca.
    g)
    Il coordinamento di iniziative in campo didattico e scientifico svolte in ambito nazionale ed internazionale.
    Come ci si può rendere conto da una rapida lettura di questo elenco esso sottintende l'espletamento di attività di ricerca, di attività didattica, di attività di gestione.
    Partiamo dalla attività di ricerca di cui alle lettere c), f) e g), che, evidentemente è tale da non tradursi in pubblicazioni scientifiche, perché, almeno nella misura in cui ciò succede, nelle "classiche" pubblicazioni scientifiche risultano in tutto e per tutto assorbenti. Trattasi, dunque, di un'attività che consiste in una partecipazione a gruppi o progetti di ricerca non individualizzabile o non individualizzabile in termini di specifici contributi scritti; oppure che investe in un ruolo di direzione, cura, coordinamento. A prescindere dal fatto che tali lettere paiono essere state pensate e predisposte con particolare riferimento al settore scientifico in senso stretto dove il lavoro collettivo costituisce spesso la regola, la loro rilevanza nel nostro campo non può che essere subordinata al fatto che tale attività, di mera "partecipazione" o di "direzione", si sia conclusa con pubblicazioni scientifiche comunque meritevoli di considerazione in base ai criteri di cui all'elenco del comma 7. Sempre nell'ambito dell'attività di ricerca può essere considerata la lettera d) con la menzione di dottorati e borse di studio finalizzate alla ricerca, non senza l'ovvia avvertenza che tutto questo può aver rilievo in un concorso di ricercatore, ma non certo in un di professore di I o II fascia, se non in termini strettamente burocratico-formali.
    Procediamo con l'attività didattica di cui alle lettere a) e) f), che riguardano rispettivamente "l'attività didattica svolta" in generale e rispettivamente "il coordinamento di iniziative in campo didattico...svolte in campo nazionale e internazionale".
    Concentrandoci sull'attività didattica "maggiore", cioè quella che implica responsabilità formale di corso, di esami, e di tesi, c'è da scontare la difficoltà di una valutazione che vada oltre il dato meramente quantitativo, costituito dal numero degli anni di servizio ed eventualmente dal numero degli esami e delle tesi annuali. Il dato qualitativo di norma è lasciato a un attestato del Preside, della cui signorile compiacenza non è dato certo dubitare in base ad una esperienza consolidata. Fermo restando che laddove è prevista una prova didattica, sarà inevitabilmente questa a dare la "vera" misura delle capacità di insegnamento del candidato, con un inevitabile ridimensionamento del peso dell'attività didattica pregressa; fermo restando questo dovrebbe essere incoraggiata la tendenza delle sedi universitarie a far ricorso a strumenti standardizzati e oggettivi di rilevazione della resa didattica, così come valutata dagli stessi studenti, facendo in prospettiva dei risultati ottenuti con tali strumenti i referenti principali di valutazione in sede concorsuale.
    Concludiamo, con l'attività di gestione di cui alla lettera b) che parla genericamente di "servizi prestati negli atenei e negli enti di ricerca negli atenei italiani e stranieri" sì da farvi ricadere lo svolgimento di incarichi di membro del consiglio di Amministrazione, Direttore di Dipartimento, Preside, Direttore di corso di laurea, Direttore di istituto, ecc; incarichi che indubbiamente meritano una considerazione ignota all'esperienza consolidata, visto che rivestono un ruolo determinante nell'organizzazione di quelle autentiche imprese culturali che sono destinate ad essere le Università italiane.
  5. Il testo del d.p.r. non ne fa parola, ma rimane il problema dell'eventuale valutazione del titolo di ricercatore e di associato per concorsi delle fasce superiori. Se ne dovrebbe dedurre che, come pare giusto, non dovrebbero aver rilievo formale di per sé, ma solo attraverso i compiti gestionali e didattici che in tali vesti il candidato abbia svolto; anche se, secondo il criterio implicito consolidato, il cursus honorum richiederebbe di norma uno svolgimento regolare e continuo senza salti che non siano di carattere eccezionale.
    Comunque, sempre secondo un principio implicito consolidato, non dovrebbe essere permesso a un candidato di superare un concorso di accesso a una fascia superiore spendendo gli stessi titoli - in particolare pubblicazioni scientifiche - coi quali è entrato nella fascia inferiore: tocca a lui, eventualmente, scegliere di non presentarli tutti nel primo concorso, per tener di riserva un'eventuale monografia fresca di stampa, onde poter subito dopo entrare in lizza per il concorso della fascia superiore.
  6. Al comma 11 dell'art. 2 sono previste le "prove", cioè specificatamente: Limitandoci alle prove orali richiedibili ai candidati per i posti di associato ed eventualmente di professore ordinario, occorre sottolineare come esse per quanto rivestano formalmente una loro autonomia, sostanzialmente servono di verifica dell'attività didattica e scientifica documentata dal candidato: questo vale per la prova didattica ma soprattutto vale per la prova di discussione dei titoli scientifici. Dall'insieme si deduce che dal cursus honorum cadenzato dalla prima fascia dell'attività didattica, documentata e confortata dalla prova orale acquista rilevanza per l'accesso alla seconda, mentre è l'attività scientifica a caratterizzare in maniera se non piena, del tutto prevalente l'accesso alla prima fascia.
  7. Naturalmente il punto nevralgico è costituito dalla valutazione ponderata delle varie attività documentate (scientifica, didattica, gestionale) e delle eventuali prove, orali e scritte. Di massima la valutazione delle attività documentate dovrebbe essere prevalente rispetto a quella delle prove orali esperite per i concorsi di associato ed eventualmente di ordinario, visto che, come detto, dette prove orali sostanzialmente servono a verificare l'attività scientifica e didattica svolta; e all'interno delle attività documentate, la valutazione delle pubblicazioni scientifiche dovrebbe mantenere la rilevanza maggiore.
    Come ovvio diverso discorso vale per i posti di ricercatore dove contando l'assenza di una attività didattica maggiore e la presenza di una attività scientifica ridotta, l'enfasi non può che cadere sulle due prove scritte.

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Bologna, Wed Apr 11 18:54:36 CEST 2001